Mostra di GIANFRANCO PACINI

Comunicato stampa

Si inaugura sabato 26 settembre 2020, ore 18.00, allo “Studio Arte Mes3 – Spazio Eventi”, a Livorno, la mostra di Gianfranco Pacini: “Stecchi d’Autore”

Il sistema dell’arte è uno dei tanti mondi metafisici creati dall’uomo che ha perduto la Verità dell’essere.
Se la metafisica è l’anima dominatrice della nostra civiltà, è stata tale dominanza a portare la società occidentale lontano dalla Verità dell’essere, scrivendo la storia, la cultura e la vita nello sviluppo di tale dimenticanza e con le determinazioni che le sono proprie: la produzione e la distruzione.
Nel caso in cui per opportunità produttiva l’artista (che è istantaneamente cosciente) fa tacere la sua coscienza, essenza di informazioni (Tonon), scade nella metafisica e tradisce, tra-sformando l’essere che è in niente. Nell’operare, quindi, l’inesplorato si pone come dimenticanza e annullamento di ogni esperienza precedente.
In applicazione, è necessario che l’artista ripieghi su se stesso, ricercando nella propria “coscienza” la quantità necessaria di percezioni significanti, e che rispetti il concetto di onestà, abbandonando totalmente le mode effimere e, in netta contrapposizione con esse, agire nel rispetto della materia, nella conseguente e ineluttabile sua proposta di dialogo. In caso contrario l’opera è “sorda”, quando cioè, nel licenziarla, l’artista non si preoccupa di riconoscerla come parte di sé.
Andare oltre il pensiero nichilista, superarlo nel nome dell’avvento di una nuova stagione significa proporre una diversa trascrizione del senso di fare arte.
Gianfranco Pacini ha intuito e va cercando da tempo questo “senso del fare”, sollecitando il proprio intelletto a ricercare la comprensione dell’essenza dell’arte, caricando le sue creazioni di un elemento che attinge al Divino. Così facendo va oltre la tanto invocata immedesimazione estetica nell’opera, elevandola al di sopra del carattere intrinseco di “cosalità”, verso un “altro” che è ciò che costituisce l’artistico, sforzandosi di far sì che il pensiero che la sottende divenga effettivamente pensante.
Dalla sua storia personale, alla ricerca di un modo per dare voce al suo inespresso, il pittore manifesta fin dalla giovane età una predisposizione all’arte, paradossalmente indirizzato da un carattere solitario e dall’indole taciturna, riflessiva e sensibile che vive di immagini di paesaggi, miraggi e cieli ideali. Inizialmente sono il colore e il disegno ad attrarlo e a impegnarlo nella realizzazione di una simbiosi surreale tra segno, forma e colore del suo lavoro di incisore di luoghi interiori e memoriali.
Agli inizi la fase creativo-comunicativa è caratterizzata da strutture polimateriche, bassorilievi, murales; sul finire degli Anni Ottanta Pacini approfondisce l’analisi sui movimenti dell’acqua marina e sulle sue “balene liquide” di Patagonia. La terza fase degli Anni Novanta, lo vede lavorare e incidere con il bulino, sotto la guida di de Angeli e Kraczyna.
La sua parallela attività di agricoltore lo mette quotidianamente in relazione con la natura e il mondo reale, elementi che entrati profondamente nell’animo, attenuano i dubbi insorgenti da una formazione da autodidatta.
A partire dal Duemila, la rivisitazione della calcografia (della puntasecca in particolare), il lavoro assiduo dietro lo studio e la sperimentazione della tecnica nascono contemporaneamente alla scoperta degli “stecchi”, profili che si stagliano sull’orizzonte di ogni lastra, pensata e graffiata, sul cui sfondo neutro (spesso di un grigio chiaro), trattato con il colore, è un elemento aggiunto, ma determinante per la comprensione dell’opera.
È lo stesso pittore a definire tale strumento intriso del Divino “la possibilità dell’uomo di vivere in armonia con gli esseri del creato. Strumento povero, privo di orpelli e abbellimenti. È la pietra scartata, il legno gettato …elevato a sostanza dei (miei) lavori, e pietra portante. Questo il messaggio che viene dato dall’universo all’artista, perché lo comunichi”.
Al di là del riconoscere in tale processo di comunicazione una “missione di vita”, sul piano estetico, anziché focalizzare la propria evoluzione – come potrebbe essere dato di pensare – su una sorta di “eco-strumento”, sia pure decontestualizzato e riscattato alla sua funzione originale, Pacini fa dello stecco dipinto una pittura a sé, un elemento dotato di vita propria, permutandolo in segno significante e caricando l’alterità del linguaggio di elementi semantici inediti. Un modo, il suo, di guardare il mondo, fatto di silenzi e ascolti visivi, proiettato in avanti, fino a che i suoi “stecchi d’autore” continueranno a parlarci.
Giuliana Donzello
Critico d’Arte e curatrice della mostra
Le opere saranno visibili allo Studio Arte MeS3